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MotoGP. Jerez Marquez: gli imprevisti della vita

Il termine di ogni gara, ogni sport e la MotoGP non fa eccezione, ci regala delle metafore di vita talmente limpide e aderenti alla realtà che si potrebbero definire allegorie. 
Stefano Pigolotti

È quello che è accaduto  ieri a Jerez,  partenza come sempre esplosiva ma, in questo caso, comunque “pulita” non si sono registrate scorrettezze né incidenti, il gruppo è andato via via, durante i primi giri, tramite qualche bel sorpasso sgranandosi, a quel punto, come spesso ci accade nel vivere comune, ci sono stati piloti che attendevano il momento giusto per lanciare il loro attacco (Marquez), altri che volevano rimarcare il loro talento cristallino (Pedrosa), qualcuno ancora che voleva innescare proprio da Jerez la sua rivincita (Lorenzo). C’è stato chi doveva ribadire che, con calcolo e coraggio si fa la differenza (Dovizioso), oppure chi voleva rimarcare di essere un pilota vero e non un individuo da gossip (Iannone). Ovviamente c’è chi deve sottolineare sempre di essere leggenda (Rossi), e colui che si manifesta al mondo con il suo non conformismo rock (Crutchlow). In ogni gruppo di contendenti che si rispetti c’è sempre l’aspirante campione (Petrucci).
La gara è stata un insieme di attività di rosicamento di secondi, difesa di posizioni, qualche emozionante attacco, delle staccate furibonde, degli incroci di traiettoria mirabolanti e il solito frastuono che non abbandona mai il circuito, un rumore assordante che, come in un duetto strumentale innovativo e ben congeniato, si alterna alle emozioni degli spettatori che danno voce ai loro sospiri all’unisono.
Come nel nostro vivere, appunto, durante la gara quando ormai si erano rotti gli indugi da parte dei primi accade “l’imprevedibile”: Marquez sta allungando e Dovizioso porta l’attacco al compagno di squadra Lorenzo per non perdere il contatto con il rivale dell’ultima stagione. La staccata è devastante, ma non precisa, il Dovi va lungo e Lorenzo tenta di incrociare la traiettoria stringendo la sua.
Ma Pedrosa, che fine ha fatto? Lui che, per diversi giri, è stato il terzo moschettiere di questo gruppetto che inseguiva D’Artagnan? Non è sparito è ancora lì, ma nella foga del combattimento tra le mille variabili da controllare, Jorge non poteva certo ricordarsi tutto e poi il minuto pilota della Honda avrebbe dovuto valutare un possibile cambio di traiettoria di chi lo precedeva. L’impatto è inevitabile, Pedrosa e Lorenzo vengono a contatto, cadono e nella rovinosa traiettoria la ruota posteriore del bolide Ducati di Lorenzo urta l’anteriore del suo compagno di squadra. Il povero Dovi nulla può e si ritrovano inconsapevoli nella ghiaia. Ma chi è il colpevole? Dovi per una staccata non precisa? Lorenzo per un azzardo che non ha tenuto conto di tutti i pericoli o Pedrosa che tra la lotta delle”rosse” avrebbe dovuto stare più attento? Molti hanno espresso giudizi tecnici, sportivi, e ancor peggio, da tifosi, perdendo obiettività e riconducendo ad una ricerca spasmodica e, a mio modo di vedere, sterile della responsabilità di un evento che se non è catastrofico, poco ci manca. Perché l’essere umano necessita costantemente di dare delle spiegazioni a quello che comunemente potremo definire destino? Perché dobbiamo obbligatoriamente dare fiato alle trombe, dicendo anche cose, talvolta stupide per poterci accanire contro l’umano che ha generato il disastro. Non voglio fare stupidi riferimenti al latte versato ma, in uno sport (in una vita) dove le variabili sono tante quante le stelle nel cielo, dove i contendenti (i viventi) hanno le loro paure, le loro fragilità, la loro forze, i loro obiettivi le loro aspirazioni, com’è possibile andare acidamente alla ricerca dello jettatore.
A mio modesto parere, credo che l’unica variabile che dipenda dall’uomo e che possa in qualche maniera essere individuata come elemento di rottura del destino (sportivo e non), sia la premeditata cattiveria: la volontà che cova nell’antro più oscuro dell’anima di chi cupo è di natura (o per conseguenza di vita infelice). A me appare evidente che nessuno dei tre cavalieri coinvolti l’abbia manifestato, a cavallo dei loro destrieri puntavano all’unica cosa che, indipendentemente dal loro stipendio, puntano a fare da quando avevano i denti da latte, vincere una gara motociclistica, aumentare la loro performance sportiva, raggiugere l’obiettivo di sopravanzare  chi c’era davanti, tagliare il traguardo sudato con il rumore del tuono nelle orecchie e con un sorriso, a volte amaro perché si è “solo” portato a casa la pellaccia, a volte incorniciato in due righe umide di lacrime perché l’emozione della vittoria sopravanza ogni cupezza, non è rintanandoci nel “fine che giustifica i mezzi” che ci possiamo permettere di fare quello che ci passa nella testa senza pensare alle conseguenze  ma a 300 all’ora quando le frazioni di secondo equivalgono a centinaia di metri , quando l’emozione si miscela (e a volte annebbia) con la nostra razionalità,  beh io credo che chiunque voglia parlare debba saperne di motori, di velocità, di sfide e di vita. E se anche sapesse di tutto questo e di più, deve avere l’onestà intellettuale di contestualizzare il suo pensiero rimanendo più obiettivo possibile. Allora, e solo allora, si potranno esprimere idee o ipotesi, stando molto attenti a non sputare sentenze perché diventerebbero delle variabili ingombranti sul proseguo del campionato e della nostra vita.
Ritornando all’analisi sportiva, con i 25 punti conquistati ad Jerez, Marquez ha dato uno schiaffone a questo inizio di campionato considerando che i suoi diretti avversari hanno rimediato “uno zero”. Il prossimo appuntamento è Les Man dove sicuramente Dovizioso, Rossi, lo stesso Zarco e la compagnia cantante dovrà riuscire a recuperare terreno sul solista che sta esprimendo con indiscutibile chiarezza la sua forza, aiutato altresì dall’offuscamento delle altre stelle.
Speriamo quindi che la volta celeste ricominci ad essere disegnata da astri sempre più splendenti e seppur diversi tra di loro allo stesso modo illuminanti ed emozionanti.

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